L'associazione tra farmacoterapia e psicoterapia si è rilevata da anni come strumento utile nel favorire la “compliance” farmacologica, intendendo con questa l'adesione ai trattamenti o, in altre parole, il livello di volontà mostrato da un paziente a seguire le prescrizioni di farmaci da parte del medico. In effetti non c’è da stupirsi di questo e ancora oggi le ricerche confermano tale tendenza. Nel disagio psichico l'uso di supporti farmacologici è molto frequente, ma questo semplice passaggio comprende fasi differenti nell'ambito delle relazioni, tra chi chiede aiuto e chi lo offre. Nel momento in cui un paziente o “utente” chiede un intervento d'aiuto per sé, da parte sua avvengono una serie di veloci valutazioni, relative a:
- a) la modalità di approccio telefonico per l'appuntamento: ad esempio il ricorso eccessivo al linguaggio tecnico da parte del sanitario, il tono della voce, il tempo dedicato;
- b) il livello di accoglienza o di attesa una volta arrivato nello studio;
- c) lo stile stesso del colloquio.
Il paziente percepisce molto bene quando, durante il suo racconto, si sta già pensando ad una prescrizione come ad una sorta di ricetta di cucina che segua una equazione fissa disturbo X = farmaco Y. E anche nei casi in cui si riesce a mostrare una buona comprensione empatica, il rischio - spesso involontario da parte del medico - è quello di trasmettere una iper-semplificazione dei problemi presentati. Tutto questo si riflette inevitabilmente nelle fasi successive, ovvero quando il nostro ipotetico paziente si ritroverà con una ricetta in mano, dove è scritta una prescrizione che spesso sembra rappresentare una sorta di traduzione "chimica" dei problemi che ha presentato appena entrato in studio.
Per tutti questi motivi l'abbinamento della farmacoterapia ad una forma di accoglienza psicoterapeutica riesce, in una buona percentuale di casi, ad innalzare la soglia dell’aderenza alle prescrizioni farmacologiche stesse. In questo caso ognuno dei due interventi restituisce il giusto valore all'altro. Da un lato si eviterà di dare l'impressione di un eccessivo schematismo prescrittivo - per ciò che riguarda l'intervento farmacologico - dall'altro si abbasseranno le soglie, alcune volte di onnipotenza, da parte dell'intervento psicoterapeutico.
Inoltre va osservato come spesso il solo intervento farmacologico evochi ombre antiche che confrontano gli psicofarmaci con la "malattia mentale". Qui sarebbe utile osservare che le varie categorie psicofarmacologiche vengono diversamente giudicate in funzione del medico che le prescrive. Stimolano giudizi ed allarmi più severi, quando sono prescritte da uno psichiatra rispetto alla prescrizione, ad esempio, di un medico di medicina generale. Nel primo caso valutate come rimedi ineluttabili al proprio stato, giudicato comunque serio ed allarmante; nel secondo caso, tollerati con una certa affidabilità, perché prescritti da una figura familiare. Già in questa semplice differenza è presente una profonda divergenza circa l'adesione alle cure. L'associazione con una psicoterapia restituisce oltre a tutto ciò un livello di accoglienza che si colloca nell'arte dell'ascolto, valorizzando la storia non tanto clinica, fatta di diagnosi ed etichette, quanto quella personale individuale, costellata di ricordi, valori, giudizi. Tutto questo inoltre verrà realizzato attraverso una serie di incontri, per sottolineare che ogni emozione e disagio si colloca lungo una storia che acquista significato, per ognuno di noi, nel fluire del corso degli anni ed è difficilmente riassumibile in un solo incontro per quanto completato con ogni attenzione di accoglienza empatica.
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Dr. Marco Magnani
Villa Giuseppina