Il fenomeno dell’aggressività viene descritto e studiato nelle sue diverse forme, con cenni sulle metodiche di gestione fino alla tranquillizzazione rapida farmacologica. L’aggressività patologica viene descritta partendo da un concetto di fenomeno non omogeneo, ma variabile in base a determinanti sociali, psicologici e biologici al momento dell’evento. La distinzione delle tipologie di violenza tra aggressività affettiva e aggressività predatoria può risultare funzionale alla previsione di esito di un eventuale trattamento.
Meloy, nei suoi lavori, descrive l’aggressività affettiva come preceduta da un alto livello di eccitazione del sistema nervoso autonomo (simpatico), caratterizzata da emozioni di rabbia, paura, disagio, agitazione, scarsa consapevolezza delle conseguenze per le proprie azioni, in risposta ad una percezione di minaccia imminente. La violenza su base affettiva è definita dallo stesso Meloy come impulsiva, reattiva, ostile, emozionale o espressiva. La sua base evolutiva è l’autoprotezione. Essa può rappresentare il risultato di un fallimento nella regolazione delle emozioni, dal quale esita una diminuita soglia di attivazione per gli affetti negativi.
Al contrario, l’aggressività predatoria non sembra essere preceduta da attivazione del sistema nervoso autonomo. Appare come cognitivamente premeditata, caratterizzata dall’assenza di emozione e percezione di minaccia. Si definisce come un comportamento non provocato, avversivo, finalizzato all’offesa, al dominio o alla coercizione di un altro individuo. È strumentale, proattiva, “a sangue freddo”. La sua base evolutiva è la caccia del cibo. Inoltre, la violenza predatoria risulta essere goal-directed, al contrario della violenza affettiva il cui obiettivo è invece quello di difendersi con successo da un pericolo percepito (reale o immaginario) interno (ad esempio i sintomi psicotici o l’ansia acuta) o esterno (un attacco fisico reale).
In generale, a pattern di violenza predatoria tendono a corrispondere: pazienti non responsivi e non complianti ai trattamenti, una scarsa probabilità di prevedere violenze future e, di conseguenza, una difficoltà nella gestione del rischio. L’aggressore affettivo, invece, mostra maggiore probabilità di risposta al trattamento, con maggiore prevedibilità delle azioni violente in reazione a situazioni percepite come minacciose e, quindi, una maggiore gestione del rischio di violenze future. I soggetti che agiscono violenza affettiva tendono a mostrare un’ampia gamma di problematiche emotive e cognitive, mentre coloro che agiscono con pattern predatorio mostrano un’inclinazione maggiore all’aggressione e al comportamento antisociale. Gran parte dell’aggressività che si manifesta in psichiatria risulta essere di tipo affettivo, quindi suscettibile di modulazione tramite trattamenti.
Riferimenti:
Clin Ter. 2016 Mar-Apr;167(2):e42-e48. doi: 10.7417/CT.2016.1924.
Pathophysiology of aggressive behavior: evaluation and management of pathological aggression.
E. Pompili, C. Carlone, C. Silvestrini, G. Nicolò